News/Demansionamento

Lavoro

Demansionamento: Quali sono i diritti del lavoratore? Come va provato? Come ottenere il risarcimento dei danni?

La prestazione lavorativa altro non è che la messa a disposizione del proprio lavoro intellettuale o manuale al servizio di un’attività d’impresa o comunque quale contributo per la realizzazione di qualcosa.
Nella prestazione di lavoro subordinato, questa messa a disposizione viene fatta alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore; il lavoratore in questa obbligazione che scaturisce dal suo contratto di lavoro è chiamato a svolgere determinati compiti e porre in essere delle specifiche attività che prendono il nome di “mansioni”. Questo viene affermato a chiare lettere nell’art. 2103 c.c. nel quale si legge: “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto”; se ci soffermiamo a leggere quest’articolo, però, vediamo che la norma prevede anche una mobilità del lavoratore rispetto a quanto pattuito al momento dell’assunzione.

 

Sommario
1. “Jus variandi” e mobilità del lavoratore
2. Demansionamento: che cos’è?
3. Normativa di riferimento
4. Demansionamento del lavoratore con accordo tra le parti
5. Altre ipotesi di demansionamento
6. Demansionamento e retribuzione
7. Come difendersi dal demansionamento?
8. Risarcimento danni per demansionamento
9. Prova del danno

 

1. “Jus variandi” e mobilità del lavoratore

Poiché il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, ogni successiva modifica nel corso del rapporto di lavoro, incontra determinati limiti imposti dalla legge o dai contratti collettivi. Secondo l’art. 2103 c.c., infatti, il datore di lavoro può esercitare il c.d. ius variandi, può cioè sottoporre ad una certa mobilità il lavoratore, rispetto a quanto pattuito al momento dell’assunzione. Questa mobilità è legittima quando il lavoratore viene adibito a mansioni diverse ma corrispondenti alla categoria di appartenenza e comprese nel suo livello di inquadramento, e allora si parlerà di mobilità orizzontale; oppure può essere adibito a mansioni corrispondenti alla categoria superiore che abbia acquisito e in tal caso si parla di mobilità verticale. Ancora, il cambio di mansioni è legittimo quando viene adibito a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte.

 

2. Demansionamento: che cos’è?

Oltre alla mobilità verticale ed orizzontale, esiste anche la “mobilità verso il basso”: essa consiste nell’assegnazione al dipendente di mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto o anche la sottrazione delle mansioni precedentemente esercitate. Si tratta del c.d. Demansionamento, che oggi rappresenta - con alcuni limiti- una espressione del suddetto jus variandi. Demansionare, a seconda delle circostanze, significa influire sulla dignità e sulla capacità professionale del lavoratore, ma anche evitare che si arrivi alla perdita del posto di lavoro. Non a caso, il legislatore di recente ha deciso di intervenire per mitigare e disciplinare, la tassatività del divieto cui il demansionamento godeva nella precedente formulazione dell’art. 2103 c.c. , introducendo una disposizione che desse la possibilità di modificare le mansioni del lavoratore in caso di riorganizzazione aziendale, cercando di contemperare in maniera oggettiva l'interesse dell'impresa al proficuo impiego del personale con l'interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della propria professionalità e delle condizioni economiche e di vita della sua famiglia.

 

3. Normativa di riferimento

In attuazione del c.d. jobs Act, l’art. 2103 c.c. rubricato “ la prestazione di lavoro” è stato modificato dall’art.3 del Dlgs. 81/2015.
Quest’intervento legislativo, in un’ottica di flessibilità organizzativa riconosciuta al datore di lavoro, consente il demansionamento quando:
si verifichi una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore;
per espressa previsione dei contratti collettivi (c.d. patto di declassamento)
In entrambe le ipotesi, il lavoratore può essere assegnato a mansioni inferiori rispetto al livello di inquadramento, purché rientranti nella medesima categoria legale (le categorie legali sono disciplinate dall’art. 2095 c.c. e sono: dirigenti-quadri-impiegati-operai; perciò per esempio: un lavoratore inquadrato al 6° livello nella categoria “impiegato”, potrà essere assegnato ad una mansione del 5° livello sempre nella categoria legale di appartenenza cioè “impiegato”, non potrà invece essere assegnato ad una mansione della categoria “operario” in quanto categoria legale diversa).
Il mutamento di mansioni, secondo il dettame dell’art. 2103 c.c.:
deve essere comunicato per iscritto al lavoratore, a pena di nullità;
ove necessario, il datore di lavoro ha l’obbligo di formare il dipendente alle nuove mansioni.

 

4. Demansionamento del lavoratore con accordo tra le parti

Le parti possono, secondo la normativa, concludere degli accordi individuali che modifichino le mansioni, la categoria e il livello di inquadramento, anche in senso peggiorativo.
In considerazione del fatto, che il lavoratore è la parte “debole” del rapporto di lavoro, si possono stipulare tali accordi a patto che la modifica avvenga in virtù di un rilevante interesse del dipendente:
Alla conservazione del posto di lavoro;
All’ acquisizione di professionalità diverse;
Al miglioramento delle condizioni di vita proprie e del proprio nucleo familiare,
e che la stipula avvenga presso:
Una sede “protetta” (come la commissione provinciale di conciliazione istituita presso la Direzione territoriale del lavoro, le università pubbliche e private, le fondazioni universitarie, o in sede sindacale).
Dinanzi ad una commissione di certificazione istituite presso le Direzioni territoriali del Lavoro
A differenza dell’ipotesi di modifica unilaterale della mansione per cambiamento degli assetti organizzativi, con il patto di declassamento il datore di lavoro può modificare non solo le mansioni del lavoratore, ma anche il suo livello di inquadramento e la relativa retribuzione.
Secondo la norma il lavoratore in queste ipotesi, può farsi assistere dal rappresentante di una associazione sindacale alla quale aderisce, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

 

5. Altre ipotesi di demansionamento

Precedentemente all’introduzione del Dlgs. n. 81/2015, la normativa allo scopo di garantire una ricollocazione delle risorse più efficace ed evitare eventuali licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, o semplicemente quando sussisteva delle condizioni di impossibilità professionale allo svolgimento delle mansioni, aveva già previsto che il lavoratore venga assegnato a mansioni inferiori quando:
diventi inidoneo fisicamente o psicologicamente a svolgere la mansione per cui è stato assunto. (art 42 del Dlgs. n. 81/2008);
le mansioni originarie siano pericolose per a salute della lavoratrice gravida, durante il periodo di gestazione e fino a sette mesi dopo il parto- potrà essere spostata a mansioni inferiori più sicure- (art. 7 del Dlgs n. 151/2001).

 

6. Demansionamento e retribuzione

Con il demansionamento, l’attribuzione del lavoratore a mansioni inferiori, non si traduce in un trattamento economico inferiore; la legge garantisce il mantenimento della retribuzione in godimento. In altri termini, il dipendente conserva la permanenza nel livello di inquadramento e il trattamento economico che gli spettava con la precedente mansione.
Tuttavia unica eccezione:
NON devono essere mantenuti gli elementi retributivi strettamente collegati alle mansioni svolte in precedenza. (es.: l’indennità legate alla specifica mansione).

 

7. Come difendersi dal demansionamento?

La riforma dell’art.2103 c.c. delineata fin qui, è andata a mitigare l’utilizzo illegittimo dello jus variandi, facendo diminuire i casi in cui l’attribuzione del lavoratore a mansioni inferiori fosse arbitraria ed illegittima.
Ciononostante il dipendente che ravvisi un illegittimo demansionamento, può sempre chiedere in giudizio il riconoscimento della qualifica corretta o, se il demansionamento presenta caratteristiche tali da impedire la prosecuzione del rapporto, dimettersi per giusta causa. Nei casi più gravi può chiedere il risarcimento dei danni.
A livello pratico Bisognerà dunque:
scrivere una lettera all’azienda e tentare la risoluzione bonaria della questione.
Se la richiesta non viene accolta, adire il giudice del lavoro.
Sarà il giudice a valutare se il demansionamento è illegittimo perché attuato in violazione della disciplina dettata dal nuovo art.2013 c.c. e potrà :
ripristinare la situazione precedente,
condannare il datore a risarcire i danni al lavoratore.

 

8. Risarcimento danni per demansionamento

Il demansionamento può provocare dei danni al lavoratore, si pensi all’impoverimento della propria professionalità, oppure alla lesione della dignità, o ancora alla delusione delle aspettative lavorative.
Tali danni possono essere di natura patrimoniale e non patrimoniale:
danni patrimoniali, sono perdite economiche dovute all’impoverimento della capacità professionale del lavoratore, che si manifesta con la mancata acquisizione di competenze e con la perdita di chance, qualora gli siano precluse ulteriori possibilità di guadagno o sbocchi occupazionali.
danni non patrimoniali, possono essere quelle lesioni morali alla personalità o il danno biologico- danno esistenziale.
Come chiarito dalla Cassazione però: “il danno da demansionamento è una conseguenza possibile, ma non necessaria, della violazione delle norme lavoristiche in tema di mobilità verso il basso. Il lavoratore, ai fini del risarcimento, deve fornire la prova del pregiudizio derivante dal demansionamento, oltre che del nesso causale tra il comportamento del datore e il danno subito”.

 

9. Prova del danno

In merito alla prova del danno, si sono registrati più orientamenti giurisprudenziali. Ci sono però due punti molto importanti:
-Le Sezioni Unite con la sentenza 24 marzo 2006, n. 6572, ha stabilito che “il lavoratore è tenuto a dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno e a precisare quali, tra le molteplici forme di danno da dequalificazione, ritenga di aver subito”. In altre parole se il lavoratore dimostra di aver subìto un nocumento, ha diritto al risarcimento dei danni, ma non può limitarsi a richiamare l’inadempimento contrattuale del titolare; ha l’onere, dice la corte “di fornirne una idonea dimostrazione e di allegare nel ricorso introduttivo del giudizio in modo specifico la natura e le caratteristiche del pregiudizio subito”.
-Cassazione civile - Sez. Lav- sentenza 3 luglio 2018, n. 17365 “quando il lavoratore alleghi un demansionamento riconducibile ad inesatto adem­pimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 c.c, è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo: o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all’art. 1218 c.c., a causa di un’impossi­bilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile".

fonte altalex


Lo Studio Legale Gaudiello è a vostra completa disposizione, chiunque può rivolgersi per qualsiasi dubbio, chiarimento o problema legale, contando su un’assistenza tempestiva e altamente professionale.
Raccontaci la tua storia attraverso il sito o Contattaci.
Qualora necessiti di una assistenza legale potrai richiedere (anche online) un preventivo di spesa gratuito e non impegnativo.


torna su

Richiesta appuntamento

scrivici o contattaci telefonicamente per fissare un appuntamento presso lo studio legale

    Nome *

    Cognome *

    Data di nascita

    Email *

    Cellulare *

    Telefono fisso

    Città

    Il mio problema riguarda (richiesto)

    Motivo della consulenza (richiesto)
    Descrivi il tuo problema, ci aiuterà a trovare la soluzione migliore

    Aiutaci a capire meglio: allega una documento che descriva il problema (formati: doc, docx, pdf max 2MB)

    * Ho letto e acconsento al trattamento dei dati personali secondo la Privacy Policy