News/Morte del paziente: risarcimento anche se medico è prosciolto?

Morte del paziente: sì a risarcimento anche se medico è prosciolto

(Cassazione n. 22520/2019)

In caso di responsabilità medica (in questo caso la morte del paziente), la decisione civile sul risarcimento è svincolata da quella penale, atteso che il giudizio di rinvio (art. 622 c.p.p.) è autonomo (Cass. 22520/2019).
La Cassazione ha confermato la condanna di un medico al risarcimento del danno per la morte di un paziente, anche se lo stesso era stato prosciolto dall’accusa di omicidio colposo, per carenza di prova sul nesso causale tra morte e condotta omissiva. Secondo la Suprema Corte, il giudizio di rinvio (al giudice civile), conseguente all’annullamento della sentenza penale, in relazione ai capi civili, è un giudizio autonomo, in cui il giudicante è svincolato dal rispetto delle regole penalistiche (dall’accertamento dell’elemento soggettivo al nesso causale) e non deve uniformarsi al principio di diritto (art. 384 c.p.c.) enunciato dal giudice di legittimità penale nella sentenza di annullamento.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza 10 settembre 2019, n. 22520 , dopo un complesso e articolato iter argomentativo, che si dipana per oltre una quarantina di pagine, in cui gli ermellini si soffermano sulla natura del giudizio di rinvio e fanno propria una delle tre teorie sullo medesimo elaborate.

La vicenda

Un uomo si recava in ospedale perché avvertiva forti dolori toracici e il medico lo rimandava a casa, ritenendo che le fitte al petto fossero dovute ad un’esofagite da reflusso. Nella notte, per il protrarsi dei dolori, il paziente tornava al pronto soccorso, ove decedeva a causa di un arresto cardiaco. In primo grado, il sanitario veniva condannato per omicidio colposo (art. 589 c.p.), per aver cagionato il decesso dell’uomo per colpa professionale. In appello, invece, il dottore veniva assolto perché, secondo i giudici, non era stato dimostrato il nesso causale tra la sua condotta omissiva e la morte dell’uomo. La Corte di Cassazione, sezione penale, su ricorso della parte civile e limitatamente agli effetti della responsabilità civile, annullava la sentenza gravata con rinvio al giudice civile affinché valutasse se, anche in presenza della patologia cardiaca da cui era affetta la vittima (aritmia ventricolare maligna), l'adesione da parte del medico alle linee guida (ossia eseguire un prelievo ematico e tenere il paziente in osservazione) avrebbe consentito di effettuare una diagnosi differenziale e di intervenire tempestivamente. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, dichiarava la responsabilità professionale del medico e ne confermava la condanna al risarcimento, oltre al pagamento di una provvisionale di 150 mila euro.
Il sanitario ricorre in Cassazione, ritenendo che il giudice di merito non si sia attenuto alla questione di diritto, oggetto del rinvio. Dal ricorso del medico, la Suprema Corte trae spunto per una lunga e complessa disamina dei rapporti intercorrenti tra azione penale e azione civile nel giudizio di rinvio.

La costituzione di parte civile

Prima di addentrarsi nell’analisi dei rapporti tra le due azioni, è d’uopo fare una premessa. Il danneggiato può costituirsi parte civile nel processo penale. Tale facoltà è giustificata da ragioni di economia processuale e di prevenzione dei giudicati contrastanti. Pertanto, il danneggiato che opti per la costituzione di parte civile nel processo penale:
-da una parte trae il massimo vantaggio possibile dal sistema probatorio tipico del processo penale,
-dall’altra sceglie di soggiacere alle condizioni ed ai limiti che il processo penale impongono all'esercizio dell'azione civile in tale sede.
Semplificando, può dirsi che:
_la parte civile è equiparabile all'attore e nel processo penale mantiene la sua connotazione civilistica, «ma ha compiuto una scelta processuale precisa, dopo avere valutato vantaggi e svantaggi delle alternative disponibili, e, una volta, optato per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale ne subisce gli indispensabili condizionamenti»;
_il responsabile civile è equiparabile al convenuto o al terzo chiamato in causa nel processo civile.
Ciò premesso, se il danneggiato sceglie di costituirsi parte civile, deve tener presente l’eventualità del giudizio di rinvio dinnanzi al giudice civile a seguito della sentenza di legittimità che annulli la sentenza penale. In questo caso, il processo civile è una prosecuzione di quello penale o è autonomo? La risposta non è semplice e lo dimostrano le quasi quaranta pagine di motivazione. Di seguito, analizziamo, in estrema sintesi, i vari passaggi della pronuncia.

Le questioni controverse del giudizio di rinvio

Le questioni controverse, esaminate nella sentenza in commento, riguardano il giudizio di rinvio davanti alla corte d’appello avvenuto ex art. 622 c.p.p., ossia in seguito all’annullamento della sentenza penale limitatamente ai capi che riguardano l’azione civile; in particolare, nel caso in esame, la Cassazione penale aveva rinviato al giudice di merito, chiedendogli di valutare la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva del medico (che non aveva sottoposto il paziente agli esami necessari) e l’evento morte. I giudici di legittimità si trovano a decidere:
-se il giudice del rinvio sia vincolato alle statuizioni sul punto emergenti dalla pronuncia della Corte di Cassazione penale ovvero, fermo l'accertamento dei fatti materiali operato dal giudice penale, se il giudice del rinvio possa rivalutarli in via autonoma, qualora da essi dipenda il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno;

-se il giudice civile sia tenuto ad applicare le regole di giudizio del diritto penale e non le distinte regole di giudizio consolidatesi nella giurisprudenza civile;

-se, ai fini dell'accertamento del nesso di causa, il giudice del rinvio debba avvalersi della regola propria del processo penale - basato sul giudizio di alta probabilità logica - o di quella adottata nel processo civile - della preponderanza dell'evidenza (ossia il “più probabile che non”).
Natura del giudizio di rinvio: tre teorie

La questione preliminare, da analizzare antecedentemente alle altre due, è quella che involge i rapporti tra azione civile e penale nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. Sul punto si segnalano tre diversi orientamenti. A seguito di sentenza di annullamento con rinvio, emessa dalla Cassazione penale, il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., è affidato al giudice civile. Si tratta di una scelta specifica, infatti, in altri casi, la legge affida la decisione, anche per gli interessi civili, al giudice penale; si pensi, ad esempio, all’art. 573 c.p.p., ove l’impugnazione per le questioni civili è decisa con le forme del processo penale. Pertanto, la scelta operata dall’art. 622 c.p.p. ha una propria ratio. La norma, dunque, si presta a tre diverse interpretazioni:

1) il giudizio di rinvio è la prosecuzione di quello penale.
Incarna la fase rescissoria dell’impugnazione, in cui la fase rescindente è stata definita con la sentenza di annullamento con rinvio, emessa dalla Corte di Cassazione (Cass. 27045/2016; Cass. 1193/2015); da ciò deriva che:
nel giudizio civile devono utilizzarsi le stesse regole applicate nel processo penale, pertanto, la domanda risarcitoria è accolta solo se sussistono i presupposti per il riconoscimento, sia pure incidentale, della responsabilità penale dell'imputato, secondo i canoni propri del processo penale;
il principio di diritto enunciato dalla sentenza penale di annullamento è vincolante per il giudice civile del rinvio.

2) Il giudizio di rinvio costituisce un procedimento autonomo.
Infatti, a seguito dell’annullamento ai soli effetti civili, si realizza una scissione tra il giudizio civile e penale. Il giudizio di rinvio segue le regole dettate dal codice di procedura civile (artt. 392-394 c.p.c.).

3) Il giudizio di rinvio è dotato di un’autonomia parziale,
Infatti, è pur vero che rappresenta un procedimento autonomo rispetto a quello penale, perché non ne rappresenta la prosecuzione. Tuttavia, la suddetta autonomia non è piena ed esclusiva, infatti, il giudice civile deve uniformarsi al principio di diritto contenuto nella pronuncia penale di legittimità (ex art. 384 c.p.c. e 143 disp. att. c.p.c.). Non solo, la sentenza della Cassazione penale vincola il giudice di rinvio anche quanto alle questioni di fatto costituenti il presupposto necessario ed inderogabile della pronuncia.
La Suprema Corte fa propria la seconda teoria (Cass. 15829/2019; Cass. 16916/2019), ossia quella che postula un’indipendenza funzionale e strutturale del giudizio di rinvio; secondo questo orientamento, il giudizio di rinvio non costituisce la prosecuzione del giudizio penale e l’art. 622 c.p.p. rappresenta lo strumento per transitare dal processo penale a quello civile, quando ad impugnare sia la parte civile. Si realizza una scissione tra le materie oggetto del giudizio; inoltre, il giudizio penale è completamente esaurito, perché non sono più in discussione:
la sussistenza del fatto,
la sua illiceità
la sua attribuibilità all'imputato.

Annullamento della sentenza ai soli effetti civili

Il rinvio trova il proprio referente normativo nell’art. 622 c.p.p. Analizziamo brevemente la norma, per meglio comprendere la pronuncia in commento.
Secondo il disposto dell’art. 622 c.p.p., fermi gli effetti penali, la Corte rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello, qualora, in sede di legittimità
la sentenza sia annullata limitatamente alle disposizioni o ai capi riguardanti l'azione civile,
sia accolto il ricorso della sola parte civile contro la sentenza di proscioglimento.
In sostanza, il giudizio di rinvio dinanzi al giudice civile consegue:
a) all’annullamento, su ricorso della parte civile "ai soli effetti della responsabilità civile", ex art. 576 c.p.p., della sentenza di proscioglimento limitatamente agli effetti civili;
b) a seguito dell'annullamento delle sole disposizioni o capi della sentenza penale di condanna dell'imputato che riguardano l'azione civile (su ricorso dell'imputato ex art. 574 c.p.p. o della parte civile ex art. 576 c.p.p.); in questo caso, la sentenza di condanna, agli effetti penali, passa in giudicato;
c) a seguito di pronuncia, nel precedente grado di giudizio, di condanna, anche generica alle restituzioni e al risarcimento dei danni, quando il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per amnistia o prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili (art. 578 c.p.p.).
La formulazione dell'art. 622 c.p.p. non distingue la natura del vizio che inficia le statuizioni civili assunte dal giudice penale; pertanto, possono rientrarvi:
i vizi di motivazione in relazione ai capi o ai punti oggetto del ricorso,
le violazioni di legge, comprese quelle afferenti a norme di natura procedurale, relative al rapporto processuale scaturente dall'azione civile nel processo penale.

Rapporti tra azione civile e azione penale

I rapporti tra azione civile e penale sono stati oggetto di una nota pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. S.U. 40109/2013, cosiddetta “sentenza Sciortino”) in cui si sottolinea come il nostro ordinamento sia ispirato al favor separationis. Del resto, quando il processo penale è esaurito, la Cassazione non può far altro che restituire la cognizione, in sede di rinvio, al giudice a cui appartiene naturalmente. In quel caso, devono impiegarsi le regole civilistiche, ad esempio, per il riconoscimento del danno non patrimoniale.
Nel tempo è maturato l'indirizzo giurisprudenziale (Cass. 34878/2017; Cass. 29627/2016; Cass. 15015/2012) secondo cui il rilevamento, in sede di legittimità, della sopravvenuta prescrizione del reato, unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata, in ordine alla responsabilità dell'imputato, comporta:
l'annullamento senza rinvio della sentenza stessa,
l'annullamento con rinvio al giudice civile delle statuizioni civili, ove la sentenza contenga anche la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile.

Giudizio di rinvio come giudizio autonomo

Il giudizio di rinvio segue le regole dettate dall’art. 392 c.p.c.; non è un giudizio che inizia ex novo e non è neppure il mero proseguimento di un giudizio pendente. Si tratta di un procedimento autonomo e lo si ricava da alcune circostanze:
viene introdotto con atto di citazione (e non con atto di riassunzione);
la citazione va notificata alla parte personalmente (non nelle forme dell’art. 170 c.p.c. relative al procedimento in corso).
La natura autonoma del giudizio di rinvio origina dalla già citata sentenza Sciortino, che ritiene applicabili le regole civilistiche al rinvio ex art. 622 c.p.p. In tal senso si segnala anche un’altra pronuncia (Cass. S.U. 40049/2008), secondo cui «spetta alle sezioni civili della Corte il compito di fornire la corretta interpretazione delle disposizioni che regolano gli effetti nei giudizi civili delle decisioni adottate in altre sedi, compresa quella penale». Il giudice penale, quindi, deve tendere ad un'interpretazione uniforme, che tenga conto del diritto vivente applicato dai giudici civili e che eviti contrasti di giurisprudenza, per evitare il paradosso che due persone danneggiate dallo stesso fatto illecito, ma che abbiano scelto strategie processuali diverse (l'una di costituirsi parte civile nel giudizio penale e l'altra di esercitare l'azione di risarcimento dei danni in quello civile) siano trattate diversamente: la seconda vedendosi accolta la domanda risarcitoria e l'altra vedendosi rigettata la richiesta in conseguenza di una diversa più rigida applicazione della regola causale.

Corollari discendenti dall’autonomia del rinvio

Dalla natura autonoma del giudizio di rinvio discendono alcuni corollari:
«l'individuazione della domanda risarcitoria e restitutoria - petitum e causa petendi - avviene sulla scorta della rappresentazione del danneggiato costituitosi parte civile;
i fatti costitutivi della domanda non sono gli stessi del fatto reato, perciò possono essere oggetto di diversa valutazione;
i canoni probatori applicabili sono quelli del giudizio civile, anche relativamente al nesso di derivazione causale, essendosi reciso il legale con la fase penale;
i reati a condotta vincolata non vincolano il giudice del rinvio, sicché si possono far valere indifferentemente condotte causative del danno diverse o quelle tipizzate;
l'elemento soggettivo dell'illecito civile è sganciato da quello accertato con diversa finalità in sede penale; si può accertare la colpa rilevante ai sensi dell'art. 2043 c.c. anche se in sede penale fosse oggetto di accertamento un reato doloso; la colpa penale e quella civile non coincidono, se non morfologicamente, ai sensi dell'art. 43 c.p., ma differiscono funzionalmente;
il titolo di responsabilità può essere oggetto d'ufficio di una diversa qualificazione dei medesimi fatti costitutivi posti a fondamento dell'atto di costituzione parte civile;
le cause di esclusione della punibilità e le esimenti non producono effetti preclusivi sulla domanda risarcitoria (come risulta dalla Legge Gelli Bianco e dalla legge sulla legittima difesa)»

Conclusioni

La Suprema Corte rigetta il ricorso del medico e conferma la sentenza gravata, secondo cui la morte del paziente è stata causata da un errore diagnostico, che ha indotto il sanitario a non attenersi alle linee guida applicabili nel caso di paziente sospettato di avere una patologia cardiaca. Tale decisione è stata assunta sulla base della prova che il sanitario non avesse effettuato un esame obiettivo, come risultava dalla cartella clinica. L'applicazione della regola della preponderanza dell'evidenza (ossia del “più probabile che non”), in assenza di ogni altra causa possibile del decesso, ha correttamente portato il giudice del rinvio ad affermare che se il paziente fosse stato ricoverato in osservazione, il medico sarebbe giunto alla giusta diagnosi e avrebbe potuto, seppur senza certezza, salvare il malato. Dal punto di vista giuridico, le argomentazioni del ricorrente sono rigettate, in quanto:
«il giudizio in sede civile, conseguente alla cassazione della sentenza penale, è autonomo sostanzialmente e funzionalmente da quello penale e legato ad esso solo dal punto di vista formale, rappresentando il giudizio di rinvio, ex art. 622 c.p.p., la via fisiologica per transitare dal processo penale a quello civile quando parte impugnante sia la parte civile: non essendo più in discussione i temi centrali del giudizio penale, quali la sussistenza del fatto, la sua illiceità e l'attribuibilità all'imputato, l'ulteriore svolgimento del giudizio davanti al giudice civile si configura come prosecuzione solo formale del processo penale, giacché presenta quell'autonomia strutturale e funzionale che concretizza la scissione tra le materie oggetto del giudizio, con la restituzione dell'azione civile alla giurisdizione cui essa naturalmente compete».
Pertanto, il giudice del rinvio non è vincolato al principio di diritto espresso dalla Cassazione penale e può impiegare le regole civilistiche, processuali e sostanziali. Infatti, l’unico elemento comune all’azione civile e all’azione penale è rappresentato dal fatto, che in un caso rappresenta il presupposto del diritto al risarcimento e nell’altro il presupposto del dovere di punire. Al di là di questo, il giudice del rinvio non è limitato dalle regole penalistiche, giacché si tratta di un giudizio autonomo, disancorato da quello penale, di cui non costituisce una prosecuzione.

fonte altalex


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