News/Gravidanza. Tri-test: medico responsabile se non approfondisce.

RESPONSABILITA' MEDICA

Diagnosi in gravidanza (tri-test): medico responsabile se non approfondisce i test.
Omissione di obbligo informativo comporta responsabilità contrattuale e illecito aquiliano per lesione del diritto di autodeterminazione (Cassazione 29709/2019)

Il medico ha sempre l'obbligo di informare, in modo completo e adeguato, il paziente, sia nella fase di diagnosi che di cura. Egli, pertanto, è tenuto a palesare alla donna, in stato di gravidanza, la possibilità di sviluppare e approfondire il “tri-test” (ossia l’esame volto a scoprire le possibili anomalie del feto), indicando i margini di errore dell’esame e i vantaggi (o svantaggi) di un approfondimento. Il sanitario, che abbia espletato in modo perito la sua attività tecnica, ma non abbia fornito l'adeguata informazione alla gestante, è inadempiente sotto il profilo contrattuale e risponde di responsabilità aquiliana per la violazione del diritto costituzionale di autodeterminazione, che rappresenta il limite alla sua autonomia professionale.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, sez. III civile, con la sentenza del 15 novembre 2019, n. 29709 .

La vicenda

Una donna conveniva in giudizio il suo ginecologo, chiedendo l’accertamento dell’inadempimento contrattuale e la condanna al risarcimento del danno, per la mancata diagnosi della malformazione del feto. Il medico, infatti, non aveva correttamente considerato gli esiti del “tri-test”, da cui emergeva un rischio superiore al normale di sindrome di Down. Il tri-test è un esame effettuato in gravidanza, allo scopo di fornire una stima della probabilità di avere un figlio affetto da anomalie cromosomiche. La paziente chiedeva la condanna del ginecologo giacché, con la sua condotta, le aveva impedito di esercitare il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. In primo e in secondo grado, le richieste attoree venivano respinte. Si giunge così in Cassazione.

Diritto di autodeterminazione: estensione e limiti

La Suprema Corte ricorda come l’attività medica incida su un bene altrui, ossia «su quell’intimo bene della persona che è costituito dal suo corpo». Per questa ragione, l’attività sanitaria deve essere il portato dell’incontro di due volontà:
-la volontà del sanitario, diretta alla tutela della salute del soggetto sottoposto alle cure,
-la volontà del paziente, espressione dell’esercizio del diritto di autodeterminazione.
Infatti, l’esercizio del diritto alla decisione informata (altra espressione con cui si fa riferimento all’autodeterminazione) costituisce il presupposto della legittimità dell’attività medica (C. Cost. 438/2008). Il libero consenso informato trova il proprio referente nella Costituzione (artt. 2, 13, 32) e si sostanzia nella sintesi di due diritti fondamentali della persona: il diritto all’autodeterminazione e alla salute. Il paziente ha diritto di essere curato, nonché di essere edotto sul percorso terapeutico a cui viene sottoposto e sulla presenza di eventuali terapie alternative. Le informazioni fornite dal medico devono essere esaustive, per consentire una scelta libera e consapevole. Come ogni diritto, anche quello all’autodeterminazione incontra dei limiti:
-l’urgenza dell’intervento sanitario, che preclude la possibilità di un consenso informato,
-il pubblico interesse (art. 32 c. 2 Cost).
In conclusione, il diritto all’autodeterminazione si sostanzia nella libertà di decidere in ordine alla propria salute e al proprio corpo, a prescindere dalla presenza di conseguenze negative sul piano della salute (Cass. 17022/2018).

Fonti dell’obbligo di informazione

Il diritto del paziente di esprimere una scelta che sia informata e consapevole si ricava da varie fonti. In particolare:
-la Costituzione,
-la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU),
-la legge ordinaria (legge 219/2017, cosiddetta “Gelli-Bianco”).
La nuova normativa «tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge» (art. 1 c. legge 219/2017). La recente disciplina – non applicabile, ratione temporis, alla vicenda esaminata – ribadisce la natura dell’attività sanitaria, come fattispecie a formazione progressiva, intesa come risultato dell’accordo dei soggetti coinvolti. In ragione di ciò, deve favorirsi la relazione di fiducia tra paziente e medico, basata sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico (art. 1 c. 2 legge 219/2017).

Attività sanitaria di diagnosi e di cura

Il corpo del paziente è oggetto dell’attività del medico; per questa ragione, il sanitario è tenuto a fornirgli tutte le informazioni sulla patologia, sulla diagnosi e sulla cura. La volontà del paziente è legittimante solo se frutto di una scelta consapevole, risultato delle nozioni ricevute dal medico (Cass. 26728/2018; Cass. 19199/2018; Cass. 11749/2018; Cass. 7248/2018; Cass. Ord. 2369/2018; Cass. 24074/2017). Quindi, l’informazione deve riguardare:
-la diagnosi,
-la cura.
In particolare, in ordine alla gravidanza e all’attività diagnostica, il medico deve segnalare alla gestante l’esistenza di test diagnostici prenatali più efficaci di quelli già adottati (ossia del tri-test) (Cass. 5004/2017; Cass. 24220/2015; Cass. 15386/2011; Cass. 2354/2010). L’obbligo informativo, quindi, non è limitato alla determinazione della terapia, ma postula l’esperimento dell’attività prodromica, ossia la diagnosi. Il medico deve illustrare chiaramente al paziente quali siano gli esiti diagnostici, cosa significhino e che conseguenze comportino.

Obbligo di informazione sulle possibilità diagnostiche

Al lume di quanto sopra, emerge come l’obbligo informativo debba investire sia la fase di diagnosi che quella di cura. L’inadempimento del suddetto obbligo comporta:
-la lesione del diritto a esercitare la propria volontà di per sé (diritto di autodeterminazione),
-eventualmente, la lesione del diritto alla salute, «a seconda del plus mancante nell’informazione».
Infatti, secondo la Corte, informare e diagnosticare rappresentano due aspetti fusi nell’attività sanitaria. In particolare:
1) l'informazione rappresenta l'obbligo prodromico ad ogni attività medica.
L’obbligo informativo del medico serve per creare consapevolezza nella persona, sul cui corpo si svolge l'opera sanitaria. Pertanto, il consenso informato legittima l'attività del sanitario (con i limiti indicati) solo se alla volontà del medico si unisce la volontà informata della persona sul cui corpo si dovrebbe effettuarla.
2) La scelta diagnostica è operata dal sanitario in virtù della sua autonomia professionale (art. 1 c. 2 legge 219/2017) che non è assoluta. Infatti, il medico quando prospetta al paziente la sua scelta:
-deve informarlo, in modo esaustivo, sul contenuto della terapia,
-deve, altresì, indicare delle scelte alternative e omologamente spiegarne le modalità.
L’omessa informazione rappresenta un inadempimento contrattuale e integra la violazione di diritti di valore costituzionale, con una correlativa responsabilità aquiliana.

Conseguenze della violazione del diritto alla salute e all’informazione

La Corte riassume quattro possibili fattispecie da cui si evince quali siano le conseguenze dell'accertamento della violazione dei diritti alla salute e all'informazione in termini di danni risarcibili.
A) La condotta colposa del sanitario cagiona un danno alla salute, ad esempio, comportando un peggioramento della situazione precedente:
-è risarcibile solo il danno dalla salute (danno biologico e danno morale), nel caso che la persona si sarebbe comunque sottoposta all’intervento, se fosse stata adeguatamente informata (Cass. 7513/2018; Cass. 2788/2019);
-è risarcibile sia il danno alla salute, che alla lesione del diritto all’autodeterminazione, nel caso in cui la persona non si sarebbe sottoposta all’operazione, se fosse stata adeguatamente informata.

B) Il sanitario provoca un danno alla salute del paziente con una condotta non colposa:
è risarcibile sia il danno alla salute, che la lesione del diritto all’autodeterminazione, nel caso in cui la persona non si sarebbe sottoposta all’operazione, se fosse stata adeguatamente informata.
Si badi, poiché il presupposto di tale ultima ipotesi è che il danno alla salute della persona non informata sia stato compiuto non colposamente dal medico, «questa situazione differenziale nel senso del peggioramento non può mai essere eventuale, costituendo proprio e comunque il danno alla salute dalla cui sussistenza si sono prese le mosse».

C) La condotta del medico non cagiona alcun danno alla salute e la persona, se fosse stata correttamente informata, si sarebbe comunque sottoposta all’intervento: non vi sono danni risarcibili.

D) Vi è poi il caso di assoluta omissione diagnostica o diagnosi inadeguata o insufficiente, perché non sono stati effettuati ulteriori accertamenti (come nel caso del “tri-test”):
-se non si è verificato alcun danno alla salute, l’unica lesione riguarda il profilo dell’autodeterminazione, che non può essere esercitata a causa del difetto di informazione. Il paziente deve allegare e dimostrare di aver patito un pregiudizio consistente nella contrazione del diritto di disporre di sé stesso;
-se si è verificato un danno alla salute, si palesa anche una lesione al diritto dell’autodeterminazione e occorre valutare se la condotta del medico sia stata o meno colposa.
L’esempio tipico è proprio quello in esame, ossia del tri-test effettuato da una donna in gravidanza. Si ricorda che il tri-test è un esame effettuato durante la gestazione, allo scopo di fornire una stima della probabilità di avere un figlio affetto da anomalie cromosomiche. Il medico non approfondisce l’esame con altri mezzi diagnostici e non informa la donna di tale possibilità, né del margine di errore del test. La condotta del sanitario è certamente colposa, stante l’inadempimento all’obbligo informativo:
-il danno alla salute si ravvisa nella sindrome depressiva che ha colpito la madre a seguito della nascita del neonato affetto da patologie, che potevano essere identificate con test idonei,
-la lesione del diritto di autodeterminazione consiste nell’impossibilità della donna di scegliere se interrompere la gravidanza.

Conclusioni: il principio di diritto

La Corte accoglie il ricorso della donna, cassa con rinvio alla Corte d’Appello e formula il seguente principio di diritto:
«il sanitario, al di fuori delle eccezioni previste dall'ordinamento (intervento urgente senza possibilità di informare alcuno, neppure incaricato dalla persona che ne ha necessità o comunque ad essa prossimo; casi specifici stabiliti dalla legge ai sensi dell'art. 32 Cost., comma 2), ha sempre l'obbligo di informare, in modo completo e adeguato, la persona su cui si appresta ad espletare la sua attività sanitaria o su cui già l'ha esercitata - sia in forma diagnostica che in forma terapeutica -, in quest'ultima ipotesi dovendo rappresentarle le possibili conseguenze e le possibili prosecuzioni di attività diagnostica e/o terapeutica (in questo caso del tri-test); obbligo che, pertanto, non può essere mai scisso dall'obbligo di espletare correttamente l'attività sanitaria in senso tecnico, per cui il sanitario che ha espletato in modo corretto la sua attività sanitaria in senso tecnico ma non ha fornito l'adeguata informazione alla persona interessata è sempre inadempiente nella responsabilità contrattuale, mentre in quella extracontrattuale viola sempre il diritto costituzionale di autodeterminazione, limite della sua autonomia professionale».

fonte altalex


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