Infortunio sul lavoro: imprudenza del lavoratore non esclude la responsabilità datoriale.

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Infortunio sul lavoro: l’azienda deve adottare misure idonee ad eliminare anche i rischi derivanti dall’imprudenza del lavoratore

Infortunio sul lavoro: imprudenza lavoratore non esclude responsabilità datoriale.

Riprende vigore la richiesta risarcitoria presentata da un operaio. Rimessa in discussione la visione tracciata in Appello, laddove si era esclusa la responsabilità dell’impresa e si era posta in evidenza la condotta anomala del lavoratore.

L’obbligo di tutela delle condizioni di lavoro posto dall’art. 2087 c.c., non può dirsi adempiuto se le misure di prevenzione adottate nella organizzazione delle modalità operative della prestazione, da parte del datore di lavoro e dal committente, non siano idonee ad eliminare del tutto o, comunque, nella misura massima possibile secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, anche i rischi derivanti da imprudenza, negligenza o imperizia del lavoratore, sicché ove l’infortunio costituisca realizzazione di tali rischi, deve anche escludersi il concorso di colpa del lavoratore.

Un dipendente aveva agito in giudizio nei confronti della società sua datrice di lavoro per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti ad un infortunio sul lavoro.

Il giudice di primo grado aveva respinto le domande, ritenendo l’infortunio attribuibile a colpa esclusiva del lavoratore.

Dello stesso parere, la Corte d’appello, che aveva ritenuto non fosse stata dimostrata una omessa vigilanza datoriale e/o della committente,  risultando dalle prove complessivamente valutate una unica condotta anomala posta in essere, nell’occasione dell’infortunio, dal lavoratore..

 La Corte di Cassazione al contrario  ha  accolto il ricorso del lavoratore. I giudici hanno infatti ricordato una serie di principi ormai consolidati in tema di responsabilità conseguente a infortunio sul lavoro.

⇒Corte di Cassazione l’ordinanza 22 settembre 2021, n. 25597⇐

L’obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro è declinato attraverso specifiche disposizioni di legge (tra cui il D.Lgs. n. 81 del 2008) e attraverso la norma di chiusura dettata dall’art. 2087 c.c., così che è imposto al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore, in base all’esperienza ed alla tecnica e tenuto conto della concreta realtà aziendale e degli specifici fattori di rischio, sia pure, come è stato precisato, in relazione ad obblighi di comportamento concretamente individuati.

La mancata attuazione delle misure di prevenzione, specificamente previste da norme di legge oppure esigibili nel caso concreto in base alle regole di prudenza, perizia e diligenza, e idonee ad impedire l’evento lesivo oppure a ridurne le conseguenze, fonda la responsabilità datoriale per il caso di infortunio occorso al lavoratore.

Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortunio sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti ascrivibili a sua imperizia, negligenza ed imprudenza.

La dimensione dell’obbligo di sicurezza che grava sul datore di lavoro comporta che questi sia tenuto a proteggere l’incolumità dei lavoratori e a prevenire anche i rischi insiti nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei medesimi nell’esecuzione della prestazione, dimostrando di aver posto in essere ogni precauzione a tal fine idonea. Con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le misure protettive, comprese quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa del lavoratore, sia quando, pur avendo adottate le necessarie misure, non accerti e vigili affinché queste siano di fatto rispettate da parte del dipendente.

Per tale ragione, l’eventuale condotta colposa del lavoratore non può avere alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni o per la mancata adozione delle misure necessarie a tutela della salute psicofisica dei lavoratori.

L’eventuale imprudenza o negligenza del lavoratore non rileva neanche ai fini del concorso di colpa quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all’adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l’imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell’evento dannoso.

È costante infatti l’affermazione secondo cui la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento.

Nel caso di danno alla salute del lavoratore, la responsabilità del datore di lavoro è esclusa solo se il danno è stato cagionato da una condotta atipica ed eccezionale del prestatore che si pone come causa esclusiva dell’evento dannoso. Interviene, in tal caso, il rischio elettivo, che si verifica quando la condotta abnorme del lavoratore sia tale da recidere il nesso causale tra l’obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro e l’infortunio intervenuto.

Infine, sul tema della distribuzione dell’onere probatorio, si è costantemente affermato che, ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra questo ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione di cui all’art. 1218 c.c.. In particolare, nel caso di omissione di misure di sicurezza espressamente previste dalla legge, o da altra fonte vincolante, cd. nominate, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore; viceversa, ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall’art. 2087 c.c., cd. innominate, la prova liberatoria è generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l’assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione.

⇒CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 settembre 2021, n. 25597⇐


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