News/Danni da fumo attivo: quando non c’è nessun risarcimento alla vittima?

Civile

Danni da fumo attivo: nessun risarcimento alla vittima che sceglie di fumare

La condotta del soggetto che fuma per libera scelta, benché conscio della nocività, è da sola sufficiente a causare il danno (Cassazione civile, sentenza n. 1165/2020)

Con la sentenza del 21 gennaio 2020, n. 1165 , la Corte di Cassazione ribadisce il proprio recente orientamento in materia di danni da fumo attivo.
Nel caso in esame, i giudici non hanno considerato provato il nesso eziologico tra il carcinoma polmonare e il consumo abituale di sigarette. Per contro, la condotta del fumatore viene considerata la causa del danno da lui patito e dai congiunti. Infatti, era stato accertato che l’uomo fumava da oltre un trentennio, in quantità smodata (oltre 40 sigarette al giorno) e non aveva osservato le raccomandazioni di astenersi dal fumo impartite dal medico curante.
Pertanto, la scelta autonoma e volontaria della vittima di continuare a fumare, nonostante i danni alla salute, rappresenta la causa del pregiudizio patito che, quindi, è ascrivibile a lui solo.

Sommario

 

  • La vicenda
  • Il nesso causale tra la malattia e il fumo
  • Concorso del fatto colposo del danneggiato
  • Danni da fumo attivo
  • Responsabilità per esercizio di attività pericolosa
  • Conclusioni

 

La vicenda

Un uomo si ammalava e, nel corso del processo decedeva, per un cancro ai polmoni a causa del consumo quotidiano di sigarette (due pacchetti al giorno) da oltre un trentennio. I parenti agivano in giudizio contro l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e, successivamente, contro l’Ente Tabacchi Italiani, al fine di ottenere il risarcimento del danno per il decesso del congiunto, considerato come conseguenza immediata e diretta dell’uso delle sigarette. In primo e in secondo grado, le richieste attoree venivano rigettate, secondo i giudici di merito, infatti, la domanda era indeterminata, inoltre, il malato avrebbe potuto evitare il danno impiegando una condotta diligente. Si giunge così in Cassazione.

Il nesso causale tra la malattia e il fumo

I giudici di merito avevano rigettato la domanda risarcitoria considerando non provato il nesso eziologico tra il carcinoma polmonare del fumatore e il consumo abituale di sigarette. I ricorrenti si dolgono di tale ricostruzione e ne chiedono un riesame in sede di legittimità. I supremi giudici ricordano come occorra distinguere:
il nesso tra il comportamento e l’evento da cui discende, a monte, la responsabilità, ossia la causalità materiale (art. 40, 41 c.p.),
il nesso che, collegando l'evento al danno, consente l'imputazione delle singole conseguenze dannose e ha, quindi, la funzione di delimitare, a valle, i confini della responsabilità (art. 1223, 1225, 1227 c. 2 c.c.); trattasi della causalità giuridica.
In buona sostanza, prima si accerta il nesso eziologico tra la condotta e l’evento dannoso, ossia si ha l’accertamento della causalità materiale; successivamente, occorre individuare le conseguenze pregiudizievoli riconducibili giuridicamente al fatto illecito, ossia la causalità giuridica. Se ricorre la prima può parlarsi di illecito, ove sussista la seconda è configurabile il danno.
Quindi,
dall’accertamento della causalità materiale emerge il danno evento, ossia il danno come evento lesivo;
dall’accertamento della causalità giuridica emerge il danno conseguenza, ossia il danno inteso come insieme di conseguenze risarcibili.
Secondo i giudici di merito, nel caso in esame, manca la dimostrazione della causalità materiale, ossia di ciò che sta a monte della causalità giuridica.

Concorso del fatto colposo del danneggiato

La ricostruzione del danno come evento e come conseguenza avviene anche facendo riferimento al contenuto dell’art. 1227 c.c. a mente del quale:
se il soggetto ha concorso ha cagionare il danno, il risarcimento è diminuito in proporzione alla gravità della colpa e all’entità delle conseguenze (art. 1227 c. 1 c.c.);
alcun risarcimento è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (art. 1227 c. 2 c.c.).
Orbene, i ricorrenti lamentano il fatto che il tabagismo della vittima sia stato considerato quale causa unica della sua dipartita, utilizzando l’art. 1227 c. 2 c.c.; ebbene, il giudice di merito avrebbe commesso un “error in procedendo” compiendo tale accertamento d’ufficio e non su eccezione di parte. La Suprema Corte rigetta la suesposta ricostruzione e precisa come la sentenza gravata abbia fatto applicazione del primo comma dell’art. 1227 c.c. (non già del secondo). In altre parole, ha effettuato un accertamento della causalità materiale che precede logicamente quello della causalità giuridica.

Danni da fumo attivo

I giudici di legittimità richiamano un precedente in materia di fumo attivo in cui la pronuncia di merito aveva ascritto i danni da tabagismo allo stesso danneggiato. Infatti, l’atto di fumare rappresenta una libera scelta della persona, consapevole e autonoma, effettuata ben conoscendo la perniciosità per la salute. Ebbene, secondo la Corte, «nell'accertamento della responsabilità civile il primo presupposto da verificare è l'esistenza del nesso eziologico tra quello che s'assume essere il comportamento potenzialmente dannoso ed il danno che si assume esserne derivato, sicché, verificato che il nesso non sussiste non ha più rilevanza né l'accertamento di un'eventuale colpa, né l'accertamento di una eventuale responsabilità cd. speciale» (Cass. 11272/2018). Il nesso causale è stato escluso in applicazione del principio della “causa prossima di rilievo” che, nel caso in esame, consiste nel libero atto di volizione dell’uomo, dotato di capacità di agire, il quale sceglie di fumare nonostante le conseguenze nocive per la salute.
In conclusione, se difetta la causalità materiale è superflua qualsiasi indagine in ordine alla colpa. Per questo è infondato anche il motivo di ricorso relativo alla circostanza che il giudice di merito non abbia indagato sulla prova liberatoria, come vedremo nel paragrafo che segue.

Responsabilità per esercizio di attività pericolosa

La fattispecie, secondo i giudici di merito, può rientrare nell’art. 2043 c.c. o nell’art. 2050 c.c. o ancora nel codice del consumo, in ogni caso, a prescindere dalla sussunzione del caso, «la condotta del fumatore, libera e pienamente consapevole dei rischi associati al fumo di sigarette, è da ritenersi causa da sola sufficiente a produrre l'evento dannoso». Ne consegue che è insussistente (o, quantomeno, interrotto) il nesso di causalità fra l’attività di produzione e l’attività vendita di sigarette (da una parte) e il danno lamentato (dall’altra).
In relazione, alla responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa (art. 2050 c.c.), in cui si può far rientrare la produzione e vendita di sigarette, la legge prevede che l’esercente tale attività sia tenuto al risarcimento se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (prova liberatoria). Nondimeno, nel caso oggetto di scrutinio, il giudicante ha ritenuto irrilevante la prova liberatoria, atteso che difettava il nesso causale. Infatti, la condotta del fumatore era tale da aver interrotto il nesso causale tra il consumo di sigarette e il tumore ai polmoni.
Per completezza espositiva, si ricorda che l’art. 2050 c.c. fa riferimento alla nozione di attività pericolosa; è tale quella che presenti una notevole potenzialità di danno a terzi. Per contro, è irrilevante che un'attività normalmente innocua diventi pericolosa per la condotta di chi ha eserciti. Non è pacifico se l'attività di lavorazione del tabacco possa considerarsi attività pericolosa, atteso che, secondo alcune ricostruzioni, risulta priva della caratteristica della pericolosità, dal momento che la sigaretta non è pericolosa di per sé, mentre lo è il suo uso o abuso (Contra: Cass. 26516/2009 sul noto caso delle sigarette “light”).

Conclusioni

La Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dai congiunti della vittima e conferma la sentenza d’appello, che individua nella condotta del fumatore la causa esclusiva del danno patito da lui e dai congiunti. Infatti, era stato accertato che l’uomo fumava dalla più giovane età, in quantità smodata (oltre 2 pacchetti al giorno) e non aveva osservato le raccomandazioni di astenersi dal fumo impartite dal medico curante. In materia di danno da fumo attivo, i giudici di legittimità ritengono di confermare un proprio precedente (Cass. 11272/2018) e ribadiscono che la scelta autonoma e volontaria dell’uomo di continuare a fumare, nonostante i danni alla salute, rappresenta una causa da sola sufficiente a cagionare il danno.

fonte altalex


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