Genus del danno estetico e alla vita di relazione

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Il danno estetico e alla vita di relazione rientra nel genus del danno alla salute

Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia e omnicomprensiva, per la cui liquidazione il giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi patiti dal danneggiato, senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Da ciò consegue che è inammissibile il riconoscimento alla vittima del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo, come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello cosiddetto estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale. La liquidazione del danno in questione va effettuata in via equitativa, ex art. 1226 e 2056 c.c., non essendo possibile provarlo nel suo preciso ammontare.

Il danno estetico non può essere considerato una voce di danno a sé, aggiuntiva e ulteriore rispetto al danno biologico, fatte salve circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, circostanze nella specie non ricorrenti e comunque non adeguatamente e specificatamente allegate.

Il c.d. danno estetico non è che una forma di invalidità permanente (e quindi un danno biologico), sicché il pregiudizio di tipo estetico viene abitualmente risarcito all’interno del danno biologico, inclusivo di ogni pregiudizio diverso da quello consistente nella diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito, ivi compresi il danno estetico e alla vita di relazione, a meno che esso abbia provocato ripercussioni negative non soltanto su un’attività lavorativa già svolta ma anche su un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento, in relazione all’età, al sesso del danneggiato e ad ogni altra utile circostanza particolare, nel quale caso può essere riconosciuto per esso un danno patrimoniale purché venga fornita una prova rigorosa di una concreta riduzione del reddito conseguente alle menomazioni subite.

Il Tribunale di Modena, con l’ordinanza 9 novembre 2021, n. 3781, ha ribadito che il danno estetico (nel caso in questione si tratta di un  post intervento di natura odontoiatrica) e alla vita di relazione esprime una formula meramente descrittiva del più generale danno alla salute, inteso quale lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona esplicante un’incidenza negativa sulla sua quotidianità e sui profili dinamico-relazionali della sua vita, ossia in tutti gli ambiti in cui si svolge la sua personalità.

L'evoluzione della giurisprudenza della Cassazione sembra orientata negli ultimi anni, in questa direzione (cfr. Cass. sez. lav. 05.09.1988):
"il danno c.d. biologico è comprensivo del c.d. danno estetico, quando questo non costituisca causa di minor guadagno per la particolare attività svolta dall'infortunato (attività sportiva, ricreativa, culturale, rapporti sentimentali ecc.)."

La compromissione della sfera dinamico-relazionale è intrinseca al danno biologico, quindi non è risarcibile oltre il valore corrispondente all’invalidità accertata in sede medico-legale, che ingloba le ripercussioni comuni sofferte dalle persone in casi consimili.

Inoltre, il Tribunale ha chiarito che «si configura la colpa grave dell’esercente una professione sanitaria in caso di deviazione ragguardevole dall’agire appropriato, ossia quando l’atto tecnico sia marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia e alle condizioni del paziente. Più la vicenda appare problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, maggiore deve essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del professionista che, pur essendosi uniformato ad una accreditata direttiva, non abbia reso un trattamento adeguato e abbia determinato la negativa evoluzione della patologia. L’intensità della colpa va valutata in rapporto all’eventuale pluralità e alla rilevanza delle norme cautelari violate, al nesso di rischio (la colpa è maggiore quando la condotta lecita avrebbe sicuramente, e non solo probabilmente, impedito l’evento) e, infine, all’esigibilità della condotta (la colpa è maggiore se l’agente è dotato di particolari abilità)».


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