News/Danno da sangue infetto, ospedale risponde per la mancata tracciabilità della sacca

Responsabilità medica e sanità

Danno da sangue infetto, ospedale risponde per la mancata tracciabilità della sacca

Cassazione civile, ordinanza n. 852/2020: la cartella clinica è un atto pubblico, personale medico e struttura sanitaria sono imputabili per negligenza desumibile dalla sua irregolare tenuta.

La cartella clinica è un atto pubblico che adempie alla funzione di diario del decorso della malattia e di altri eventi clinici rilevanti che, devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi ed in maniera precisa e puntuale altrimenti il personale medico, sanitario e la struttura sanitaria sono imputabili per negligenza desumibile dalla sua irregolare tenuta.
Nel caso di trasfusioni di sangue risulta fondamentale la tracciabilità della sacca di sangue trasfusa.
È per tale motivo che la Corte di Cassazione, con ordinanza 17 gennaio 2020, n. 852, ha dichiarato il diritto al risarcimento del danno per il paziente che ha contratto l’epatite B a seguito di trasfusione di sangue infetto.
Il danno da emotrasfusione o danno da contagio per via ematica indica il pregiudizio subito da un soggetto a causa di una o più trasfusioni infette o a causa della somministrazione di emoderivati erroneamente sintetizzati.

Presenta delle peculiarità di disciplina ed è stato oggetto di particolare attenzione da parte della giurisprudenza tale da essere state emanate ben dieci sentenze a sezioni unite, dalla n. 576 alla n. 585, nel gennaio del 2008. Ma anche di recente (Cass. Civ. 18392/2017; Cass. Civ. 28991.2/2019)e, in particolare, è stato ribadito il principio che l’onere della prova è così distribuito: il danneggiato deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto o il contatto sociale e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore; la struttura ha l’onere di provare di aver agito con diligenza, ad esempio dimostrando che le sacche di sangue utilizzate provenivano dai centri preposti alla fornitura, alla tracciabilità ed al controllo.
Quindi, provata da parte del danneggiato la relazione causale tra condotta e lesione ( che nel caso di un ricovero ospedaliero risulta semplice), l’onere della prova della causa non imputabile grava sulla struttura sanitaria. In tal caso la prova non poteva essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell'onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine la «vicinanza alla prova», è stato fatto ricorso alle presuzioni. Infatti, come affermato da consolidata giurisprudenza, “la difettosa tenuta della cartella clinica naturalmente non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e la morte, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni” (Cass. Civ., sez. III, 23 luglio 2003, n. 11316).
Cosi la Cassazione nell’ordinanza dello scorso gennaio ha precisato che l’impossibilità di tracciare una sacca di sangue trasfusa comporta un’irregolarità nella tenuta della cartella clinica “cui può ricollegarsi l’affermazione di responsabilità contrattuale, con riguardo alla prova presuntiva”.

fonte altalex


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