Scopre che il coniuge è gay? Matrimonio nullo per la Chiesa ma non sempre per lo Stato

 

E’ ostativo alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, il fatto che la coppia abbia avuto una convivenza prolungata in seguito alla celebrazione del matrimonio. Se la convivenza "come coniugi” si è protratta per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, ciò integra una situazione giuridica di ordine pubblico, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 15 maggio 2018, ha respinto la richiesta della moglie volta a ottenere la declaratoria di efficacia nella Repubblica italiana, della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico e confermata dal Tribunale della Rota Romana.
La nullità del matrimonio era stata dichiarata in ragione della scoperta dell’omosessualità del marito e ciò avrebbe reso nullo il matrimonio per incapacità del marito di assumere gli oneri e gli obblighi del matrimonio.
Secondo la Corte d’Appello è ostativo alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, il fatto che i coniugi abbiano avuto una convivenza prolungata successivamente alla celebrazione del matrimonio, poiché in questo caso c’è un’accettazione del rapporto, incompatibile con l'esercizio del diritto di annullarlo.

La Corte territoriale aveva, infatti, accertato che la convivenza era durata ben quattordici anni, di cui i primi sei o sette si erano svolti in maniera “coerente con un’unione coniugale", tanto che la coppia aveva, di comune accordo, deciso di avere una figlia.
Solo dopo la nascita di quest'ultima, era venuta alla luce la tendenza omosessuale del marito.
Il ricorso in Cassazione si fonda su un unico motivo, ossia l’aver disatteso da parte della Corte territoriale, l’orientamento giurisprudenziale della Corte suprema, richiamando il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite della Corte nella decisione del 17 luglio 2014, n. 16379, circa la valenza ostativa, al procedimento di delibazione, della successiva coabitazione triennale.
La Corte di Cassazione ha specificato che la sentenza richiamata, ha in realtà confermato l’indirizzo contenuto in una precedente sentenza n. 1343 del 20/01/2011 – seguita, nello stesso senso da Cass. Civ. 15/06/2012 n. 9844 – secondo cui se la convivenza "come coniugi” si è protratta per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di "ordine pubblico italiano", la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato.
Ciò preclude la dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del "matrimonio-atto".
Inoltre, le citate statuizioni hanno ricevuto conferma nella successiva giurisprudenza (Cass. Civ. 27.01.2015 n. 1494 e Cass. Civ. 19.12.2016 n. 26188).
Anche con la recente pronuncia n. 8800 del 5.4.2017, la Corte ha confermato che per accertare se una sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico possa essere riconosciuta in Italia è necessario verificare se sussista un contrasto con l’ordine pubblico, tenendo conto del “matrimonio-rapporto” che ha un fondamento nella Costituzione, nelle Carte europee dei diritti e nella legislazione italiana.
La coabitazione prolungata, secondo la Cassazione, è connessa a una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili e di responsabilità.
Pertanto si ribadisce che la convivenza "come coniugi", quale elemento essenziale del "matrimonio-rapporto", se durata per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, impedisce il riconoscimento della sentenza di nullità ecclesiastica.

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