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Cassazione: bigenitorialità non vuol dire tempi uguali coi figli

Bigenitorialità non vuol dire tempo paritario presso ciascun genitore

 

In tema di affidamento del figlio minore, la bigenitorialità non comporta l'applicazione di una proporzione matematica paritaria dei tempi di frequentazione del minore, ma richiama il diritto di ciascun genitore – e del figlio – ad essere presente in maniera significativa nella sua vita.
Rilevano il modo in cui i genitori hanno in precedenza svolto i propri compiti, le capacità di relazione affettiva, di attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un costante rapporto, le abitudini di vita di ciascun genitore e l'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 10 dicembre 2018 n. 31902, dice no all'applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore con ciascun genitore e ricorda cosa significa il diritto alla bigenitorialità.

 

 

Il fatto

 

 

Nell’ambito di un procedimento “de potestate” volto a limitare la responsabilità genitoriale di un genitore, la Corte d’appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva accertato l'esistenza di una grave conflittualità tra i genitori, alimentata da una competitività esasperata, tanto da dover disporre l'affido della minore al servizio sociale competente per l'assunzione delle decisioni più importanti riguardanti la salute, la scuola e l'attività sportiva della bambina.
Il collocamento prevalente era confermato presso la madre con la previsione di tempi di frequentazione per il padre.
Contro il decreto, quest’ultimo ricorre in Cassazione denunciando la violazione dell'art. 316 c.c., comma 3, in combinato disposto con l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, e con la Convenzione di New York 20 novembre 1989, tutte norme che tutelano il diritto del minore alla bigenitorialità e alla continuità dei rapporti affettivi.
Il padre ritiene altresì che la Corte territoriale abbia assunto una decisione sproporzionata e indeterminata affidando la bambina ai servizi sociali, senza avere tentato di capire quale fosse il genitore più idoneo a curare l'interesse della figlia, e senza aver valutato le condotte pregiudizievoli che avrebbero potuto comportare la decadenza dalla responsabilità genitoriale.
Tutti i motivi sono stati giudicati infondati.

 

 

Il principio di bigenitorialità

 

 

In primo luogo, la Corte precisa che i provvedimenti di cui all’art. 333 c.c., adottati per superare la condotta pregiudizievole di uno o entrambi i genitori, tale da non dar luogo ad una pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale, sono privi di carattere definitivo, in quanto sono revocabili in qualsiasi momento.
Per questo motivo la previsione di un termine alla misura dell’affido al Servizio, risultava non necessaria, poiché il provvedimento poteva essere riesaminato in ogni momento in presenza di cambiamenti.
Inoltre, la Corte di appello aveva ampiamente motivato le ragioni della scelta nell'interesse della minore, in ragione della “conflittualità accesa e insanabile”, che aveva causato una paralisi decisionale, anche in scelte importanti come quelle relative alla salute e al percorso scolastico della piccola, scelte che invece richiedono una tempestiva decisione e che erano state intralciate a causa dei continui contrasti dei genitori.
Infine, di particolare interesse è quanto ricorda la Cassazione in tema bigenitorialità, che non comporta l'applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore, ma richiama il diritto di ciascun genitore e del figlio ad essere presente in maniera significativa nella sua vita.
Tale diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell'altro genitore.
Infatti, ricorda la Corte, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice deve compiere nell’esclusivo interesse morale e materiale dei figli minori, riguarda le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione causata dalla disgregazione dell'unione.
In questo senso egli deve tenere del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, e della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore.
Nell’ambito di questa valutazione deve essere, dove possibile, rispettato il principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione" (Cass. Civ. n. 18817 23.09.2015).

fonte altalex

 

 

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