Se l'Amministrazione finanziaria omette di dare al contribuente quelle informazioni che consentirebbero ad esso di soddisfare alcuni requisiti formali per beneficiare di esenzioni (o riduzioni) fiscali è possibile ottenere un risarcimento?
L'ordinanza 27 settembre 2018, n. 23163 della Corte di Cassazione sembra andare proprio in questa direzione, confermando quanto già stabilito da parte dei giudici di merito che si erano interessati alla vicenda.
In concreto, era avvenuto che un contribuente aveva evocato in giudizio l'Agenzia delle Entrate lamentando l'illegittimo comportamento tenuto dai dipendenti di essa per averlo indotto in errore riguardo al regime di tassazione applicabile di un atto di cui chiedeva la registrazione.
In particolare, il contribuente aveva dedotto che, recatosi presso l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate per registrare una scrittura privata, documentando la propria qualità di coltivatore diretto, attraverso la relativa certificazione Inps il direttore dell'Agenzia chiedeva all'attore di apporre sulla scrittura privata da registrare una dichiarazione contenente l'indicazione del valore della vendita. Tuttavia dopo due mesi l'attore riceveva l'avviso di liquidazione della maggiore tassazione applicata sulla base del valore dichiarato in calce all'atto, ritenendo non applicabile l'imposta ridotta a tassa fissa. Sulla base di tali elementi il contribuente chiedeva il risarcimento del danno determinato dalla condotta omissiva della amministrazione convenuta.
Il Giudice di primo grado aveva rigettato la domanda risarcitoria sul presupposto della mancata prova da parte dell'attore del diritto al beneficio fiscale, mentre nel successivo grado di appello il Giudice condannava l'Agenzia delle Entrate al risarcimento in favore dell'appellante.
Da ciò la proposizione del ricorso per cassazione, che ha dato la possibilità alla Corte di evidenziare alcuni interessanti elementi di carattere processuale (ma che, in sostanza, vengono a confermare quanto stabilito dal giudice di merito).
La Corte ha infatti innanzitutto ricordato, in punto di fatto, che al momento della registrazione della scrittura privata il contraente aveva reso palese la qualità di coltivatore diretto e tale circostanza non era contestata, oltre alla mancata conoscenza delle previsioni normative in materia di sgravi fiscali. A fronte di tale duplice situazione (condizione soggettiva di coltivatore diretto, e ignoranza in termini di regime fiscale applicabile) il Giudice di appello aveva ritenuto che l'amministrazione avrebbe dovuto porre maggiore attenzione al livello di informativa da rendere nei confronti dell'utente, circa di adempimenti da porre in essere per beneficiare dei vantaggi fiscali previsti dalla normativa di settore, eventualmente modificando o integrando l'atto con le indicazioni mancanti.
Di conseguenza, deduce la Cassazione, l'“insieme degli elementi evidenziati nella sentenza impugnata riguarda la violazione, da parte dell'Agenzia convenuta, degli obblighi di correttezza e collaborazione secondo un canone comportamentale di buona fede, che deve caratterizzare l'attività della pubblica amministrazione.”
La controversia non aveva quindi ad oggetto il diritto del contribuente all'agevolazione (diritto non sussistente a causa della insufficiente documentazione), ma del diritto ad ottenere un'informazione completa dalla Amministrazione finanziaria.
L'Amministrazione, secondo la ricostruzione del Giudice di appello, avrebbe dovuto informare il contribuente della necessità di dotarsi di ulteriore documentazione al fine di accedere all'agevolazione in oggetto ed evitare le sanzioni per l'omesso versamento dell'imposta ordinaria dovuta. l'Agenzia invece aveva richiesto al contribuente un dato irrilevante (la dichiarazione sul valore dell'atto) provvedendo a tassarlo in misura agevolata, pur in assenza delle condizioni di legge, ingenerando nel contribuente un affidamento sull'idoneità della documentazione prodromica al beneficio, atteso che l'Agenzia si era accontentata della produzione documentale violando l'articolo 6 della Legge 27 luglio 2000, n. 212.
La conclusione del ragionamento della Corte di cassazione è che “nella sentenza impugnata il danno ingiusto è stato individuato nella condotta negligente dell'amministrazione per la mancata considerazione della peculiarità del caso concreto, per la totale omissione del dovere di informativa e per avere ingenerato nel contribuente, dapprima ammesso alla tassazione favorevole sulla base di una semplice dichiarazione orale, l'affidamento legittimo che non fosse necessario altro adempimento per evitare la perdita del beneficio spettante, quale coltivatore diretto da oltre quarant'anni.”
Ma, poiché il ricorso per cassazione era sostenuto da argomenti volti a fondare la non ammissibilità del beneficio fiscale (cosa peraltro pacifica), il ricorso stesso è stato dichiarato inammissibile.
fonte altalex