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Responsabilità medica :il nesso di causalità è duplice


RESPONSABILITA' MEDICA

Affinchè sorga il diritto al risarcimento del danno da responsabilità medica, il creditore (ossia il paziente o se defunto i suoi cari) dovranno dimostrare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario, e il debitore (ossia il medico) deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione. È questo il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nell'ordinanza 26 febbraio 2019, n. 5487 a chiarimento dei criteri relativi alla distribuzione dell'onere della prova in materia di responsabilità medica.

Nei giudizi risarcitori da responsabilità medica , si delinea "un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle…mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)".

IL CASO

Nel caso di specie, un uomo era deceduto a seguito d’ischemia poco dopo la visita effettuata da una Guardia Medica che lo aveva “rinviato al domicilio” “previa somministrazione in via intramuscolare, di un antidolorifico, con prescrizione di un controllo dal medico curante”.
Pertanto, i congiunti convenivano in giudizio civile la AULSS competente affinché la stessa fosse riconosciuta responsabile del decesso del loro congiunto.

IL GIUDIZIO

Occorre premettere, per una migliore comprensione della vicenda, che il relativo procedimento penale si era concluso con un provvedimento di archiviazione, che recepiva le conclusioni dalla consulenza tecnica secondo cui l'invio dell’uomo presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale "avrebbe quantomeno permesso di defibrillare il paziente e quindi di consentire maggiori probabilità di sopravvivenza", ma "la grandezza statistica di tale probabilità, da un punto di vista penalistico, non assurge(va) ai richiesti parametri della "ragionevole certezza"" dell'esito salvifico, potendo, nondimeno, "trovare ampia dignità in responsabilità civile, a fronte dell'assunto giuridico del cosiddetto "piu’ probabile che non"".
Accolta dal giudice di primo grado la domanda risarcitoria, il giudice dell’appello escludeva la responsabilità dell'azienda sanitaria sostenendo che "non vi è riscontro probatorio circa la presenza di personale di PS pronto ad intervenire immediatamente con il defibrillatore e, soprattutto, non è dato sapere se il suo utilizzo "sarebbe stato salvifico".
Ma, per i congiunti del defunto “poiché la morte fu causata da un problema cardiaco e l'esecuzione degli esami omessi avrebbe consentito una diagnosi tempestiva e permesso di monitorare la situazione, evitando la morte per ischemia", sarebbe spettato alla convenuta "provare che la morte sarebbe egualmente avvenuta oppure che la sua causa andava rinvenuta in altro evento imprevisto e/o imprevedibile". Di qui, dunque, una violazione del principio della vicinanza della prova che, se correttamente applicato, avrebbe imposto alla convenuta - a fronte delle risultanze della perizia medico-legale - di fornire gli elementi necessari per ritenere che la causa della morte del paziente andasse ricercata in un evento impossibile da prevedere.

SENTENZA

La Cassazione, nell’accogliere il ricorso, in applicazione del principio di diritto ut supra delineato, ha precisato che "la causa incognita resta a carico dell'attore relativamente all'evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere…solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l'onere di provare che l'inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall'attore, è stato determinato da causa non imputabile".
Pertanto, la sentenza impugnata ha operato un’indebita "segmentazione" della complessiva condotta omissiva della struttura sanitaria, incentrando la propria valutazione esclusivamente sull'ultimo anello della catena di omissioni “che andavano invece tutte adeguatamente indagate”.

CONCLUSIONI

Una ricostruzione non "atomistica" dell'intera vicenda avrebbe evidenziato, invero, che la tempestiva sottoposizione dell’uomo ad accertamenti più approfonditi - già nella fase iniziale, o comunque in quella intermedia, dell'intera catena di accadimenti - avrebbe potuto scongiurarne il decesso.


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fonte altalex


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