Chi rompe la promessa di matrimonio prima delle nozze paga i danni?

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Le storie d’amore possono finire. È normale ed è poco male quando ci si lascia di comune accordo.

 

Per la Cassazione chi rompe la promessa di matrimonio deve rifondere all'altra parte le spese e quanto necessario ad adempiere, in tutto o in parte, agli obblighi assunti.

 

Lo sposo che rompe la promessa di matrimonio deve pagare i danni

Con l’ordinanza n. 10926/2020 la Suprema Corte ha respinto il ricorso del futuro sposo condannato a risarcire i danni derivanti dalla rottura ingiustificata della promessa di matrimonio. Il ricorrente eccepiva che la domanda di ristoro fosse stata proposta, in violazione dell’art. 81 c.c., oltre un anno dopo la decisione di non convolare a nozze, inoltre precisava che la rottura fosse dovuta alla volontà di entrambe le parti. Sosteneva ancora che la decisione di non arrivare all'altare fosse intervenuta dopo le pubblicazioni, almeno venti giorni prima della data fissata della cerimonia. Lo stabilisce la Cassazione civile con l'ordinanza n. 10926 del 2020

La Cassazione, pur ritenendo fondate le osservazioni del relatore sulla inammissibilità del ricorso avanzato, perché finalizzato a ottenere una nuova valutazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità, dichiara il ricorso improcedibile, così motivando la sua decisione.

Prima di tutto la Corte ritiene il ricorso improcedibile per assenza della asseverazione autografa di conformità all'originale della notifica del ricorso avvenuta in modalità telematica.

Per quanto riguarda invece gli altri punti del ricorso la Cassazione afferma che per quanto riguarda l'aspetto della prescrizione dei termini dell'azione, il ricorrente contesta l'accertamento in fatto relativo alla rottura del matrimonio, che a suo dire risale a 20 giorni prima delle nozze, con conseguente intempestività della domanda proposta dalla ex fidanzata nel termine annuale previsto dall'art 81 c.c. Accertamento che però il ricorrente contesta inammissibilmente.

Per quanto riguarda invece la contestazione dell'importo riconosciuto dalla Corte d'Appello alla ex fidanzata e che il ricorrente ritiene eccessivo, la Cassazione precisa che non è sua competenza quantificare i danni o gli indennizzi di causa, a fronte dell'introduzione di dati e circostanze che non sono state riportate nella sentenza d'appello.

Il ricorrente non critica infatti passi precisi della motivazione, ma ripropone una costruzione diversa dei fatti, avanzando censure inammissibili in sede di legittimità e non pertinenti con la motivazione della sentenza impugnata e la decisione finale, che alla fine lo condanna, tra l'altro, a una pena ben inferiore a quella richiesta inizialmente dalla ex.

FATTO

Una giovane coppia decide di sposarsi, anche se la famiglia di lui si oppone. Il ragazzo ha un ripensamento, ma la fidanzata è incinta quindi acconsente alle nozze.

I futuri sposi provvedono quindi alle pubblicazioni e a organizzare l’evento. Il giovane però ravvisa da parte della sposa solo un interesse economico legato alle nozze per cui, subito dopo le pubblicazioni, decidono di non sposarsi più. La ex fidanzata però cita in giudizio l'ex fidanzato per la rottura della promessa di matrimonio, ma il Tribunale rigetta le richieste della ragazza, ritenendo non dimostrata la tempestività della domanda nel termine di un anno dalla rottura.

La Corte d'Appello invece ribalta la decisione e condanna il giovane a risarcire i danni cagionati alla ex fidanzata a causa della rottura ingiustificata della promessa di matrimonio, quantificando in 3000 euro le spese sostenute dalla ragazza in vista del matrimonio.

CASSAZIONE

Il ragazzo allora decide di ricorrere in Cassazione, lamentando come la domanda di risarcimento, avanzata dalla ex fidanzata, sia tardiva e cioè risalente a dopo il termine di un anno previsto dall'art. 81 c.c., che decorre dal rifiuto di celebrare le nozze.

Per il giovane inoltre la sentenza d'Appello ha violato l'art. 2697 c.c. che disciplina l'onere della prova nei seguenti termini:

  •  Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
  • Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.

Il ricorrente fa presente poi che la sentenza di secondo grado sbaglia nel ritenere che la risoluzione non sia avvenuta consensualmente, ma sia stata manifestata unilateralmente dal ragazzo ed esplicitata all'esterno solo sei o sette giorni prima della data fissata, tra l'altro senza un giustificato motivo al ripensamento in grado di sottrarlo all'obbligo di rifondere all'altra parte le spese sostenute e di fornire alla stessa i mezzi necessari per adempiere in tutto o in parte alle obbligazioni assunte in vista del futuro matrimonio.


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