News/Inadeguata informazione del paziente. Risarcimento del danno da violazione del diritto di autodeterminarsi

Paziente non informato adeguatamente? Leso diritto di autodeterminazione

L’obbligo d’informazione è volto a tutelare direttamente l’autodeterminazione del paziente.

Non vi è dubbio che la violazione del dovere di informazione e di autodeterminazione, anche nel caso in cui l’intervento chirurgico abbia avuto un esito fausto, nonostante l’assenza di un danno biologico, costituisca autonoma fonte di responsabilità risarcitoria. Per effetto della violazione del dovere di informazione, il paziente subisce una perdita della propria autodeterminazione, con conseguente privazione della libertà anche di decidere se e quando e da chi sottoporsi all’intervento, nonché, in presenza di alternative diagnostiche o terapeutiche, di rifiutare ovvero differire nel tempo la scelta della terapia da seguire.

La sottoscrizione da parte del paziente di un modulo generico informativo non integra un consenso validamente espresso.
Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 19 settembre 2019, n. 23328 .

Il paziente ha diritto di ricevere un’informazione dettagliata e adeguata sulle conseguenze dell'intervento medico a cui si sottopone. La violazione dell’obbligo informativo – gravante sul medico – può determinare un duplice nocumento: un danno alla salute e una lesione del principio di autodeterminazione. Ai fini del risarcimento del danno da violazione del diritto di autodeterminarsi, il paziente non deve dimostrare che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato l’intervento. Infatti, la responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo di acquisire il consenso informato discende dal solo fatto della sua condotta omissiva. Rileva soltanto che, a causa del deficit di informazione, il paziente non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni.
La Suprema Corte ha ribadito la propria giurisprudenza in tema di consenso informato nell’attività medico-chirurgica e sulla violazione del diritto di autodeterminazione (diverso dalla lesione del diritto alla salute), soffermandosi altresì sul nesso di causalità nella responsabilità civile.

La vicenda

Una donna citava in giudizio il medico che l’aveva operata, considerandolo responsabile del danno patrimoniale e non patrimoniale da ella patito a seguito degli interventi chirurgici effettuati dal convenuto. La paziente aveva un quadro clinico non preoccupante, ma veniva persuasa dal sanitario ad operarsi. L’intervento le era descritto come non impegnativo; invece, alla prima operazione ne era seguita una seconda e una terza – senza il previo consenso della paziente – con un lungo decorso postoperatorio, in cui la donna pativa dolori lancinanti. A causa dell’intensa sofferenza, si rivolgeva ad un altro sanitario, che la sottoponeva al quarto intervento, senza riuscire ad ovviare ai danni cagionati dalle precedenti operazioni. La donna sporgeva querela contro il primo medico e veniva accertata la responsabilità dello stesso per imperizia. Nelle more, si sottoponeva ad un ulteriore intervento, che non dava gli esiti sperati. Ella lamentava danni alla persona per il dolore fisico e psichico patito, per la rinuncia alla possibilità di avere rapporti sessuali da cui era dipesa, come conseguenza, la separazione dal marito. Dopo un lungo iter processuale, la questione giunge in Cassazione, ove i giudici di legittimità si soffermano su due aspetti: il nesso causale nel giudizio civile e il consenso informato nell’attività medico-chirurgica.

Causalità materiale e giuridica

La danneggiata si duole del fatto che i giudici di merito abbiano attribuito un’efficienza causale autonoma alla condotta del secondo medico – non evocato in giudizio – autore del quarto intervento, violando i principi in tema di causalità nella responsabilità civile. In tale ambito, si deve avere riguardo a due profili:
la causalità materiale tra la condotta e l'evento (o causalità fondativa) è quella che fonda la responsabilità e ricorre quando il comportamento abbia generato o contribuito a generare l'evento (art. 40, 41 c.p.);
la causalità giuridica è descrittiva della responsabilità e, tra le varie condotte, collegate ad un determinato evento dannoso – in base alla causalità materiale – seleziona quelle che ne sono la causa giuridicamente rilevante (art. 1223, 1225, 1227 c. 2 c.c.)[1].
In buona sostanza, prima si accerta il nesso eziologico tra la condotta (l’operazione medica) e l’evento dannoso (la lesione subita dalla paziente), ossia si ha l’accertamento della causalità materiale; successivamente, occorre individuare le conseguenze pregiudizievoli riconducibili giuridicamente al fatto illecito, ossia la causalità giuridica. Se ricorre la prima può parlarsi di illecito, ove sussista la seconda è configurabile il danno.

La causalità nel giudizio civile

La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ricorda come la nozione di causalità civile, nel tempo, si sia emancipata rispetto a quella penalistica; il punto di svolta si è raggiunto con la decisione delle Sezioni Unite (Cass. S.U. 576/2008) ove si è precisato che non è sufficiente dimostrare che la condotta umana abbia cagionato l’evento di danno; infatti, in ambito di responsabilità civile, occorre acclarare, altresì, che da quella specifica lesione siano derivate conseguenze pregiudizievoli. Pertanto, l’accertamento riguarda due nessi causali:
il nesso tra la condotta illecita e la lesione dell’interesse protetto – accertabile secondo il criterio della preponderanza dell’evidenza (“più probabile che non”);
il nesso tra la lesione dell’interesse e il danno risarcibile – accertabile seguendo i criteri dettati dall’art. 1223 c.c., ossia il danno deve essere conseguenza immediata e diretta del fatto illecito.
Ebbene, gli Ermellini censurano la decisione di merito, in quanto i giudici non hanno seguito i suindicati criteri ed hanno attribuito efficienza causale autonoma all’intervento effettuato dal secondo medico – non citato in giudizio – nonostante dalla CTU emergessero elementi in senso contrario, non adeguatamente considerati dal giudicante.

Ricordiamo brevemente che in materia di attività medico-chirurgica, il trattamento sanitario è legittimato solo dall’espressione del consenso informato, in difetto del quale, l’intervento del medico è illecito.

La violazione dell’obbligo informativo da parte del medico si traduce nella lesione di un diritto fondamentale: la libertà di autoderminazione.

Diritto del paziente ad un’informazione adeguata

La danneggiata lamenta che la sentenza gravata:
• abbia ritenuto integrato il consenso informato, stante la sottoscrizione di un modulo prestampato di contenuto generico;
• abbia onerato la paziente della prova che, se adeguatamente informata, avrebbe rifiutato l’intervento;
• non abbia attribuito alla violazione della propria libertà di autodeterminazione – determinata dal mancato consenso – la dignità di un’autonoma voce di danno da risarcire.
La Corte ritiene fondata la doglianza e ricorda che il paziente ha diritto a ricevere un’adeguata informazione per poter esprimere validamente il proprio consenso. Inoltre, non è corretto estendere il consenso espresso per la prima operazione, anche alle due successive (realizzate senza il previo placet della paziente), in quanto è necessaria l’attualità del consenso. La giurisprudenza in materia di attività medico-chirurgica è costante nell’affermare che il consenso informato, per essere validamente espresso, deve avere ad oggetto:
• informazioni dettagliate,
• idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico,
• informazioni sui suoi rischi, sui risultati conseguibili e sulle possibili conseguenze negative,
• informazioni rese in un linguaggio comprensibile, in base al livello culturale del paziente e al grado di conoscenze specifiche di cui dispone.
Al lume di quanto sopra, la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo generico è inidonea a costituire validamente il consenso, infatti, da un simile documento non è possibile desumere con certezza che il paziente medesimo abbia ottenuto in modo esaustivo le suddette informazioni
Inoltre, nel caso di specie, gli interventi successivi al primo avevano carattere riparatorio, pertanto una completa informazione aveva un’importanza determinante, per consentire al paziente di conoscere la patologia provocata dagli interventi precedenti e le possibilità concrete di superamento di quelle problematiche.

Violazione dell’obbligo di informazione

La giurisprudenza di legittimità attribuisce un’autonoma rilevanza, sotto il profilo risarcitorio, alla mancata prestazione del consenso da parte del paziente. Infatti, la violazione del dovere di informazione da parte del sanitario può cagionare due tipologie di danno:
«danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti;
danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in sé stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (e, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute» (Cass. 11950/2013).
I due danni sono indipendenti tra loro; infatti, la mancanza del consenso può determinare la violazione del diritto di autodeterminazione, anche ove non sussista lesione della salute (Cass. 2468/2009). Infatti, «la lesione della salute si ricollega causalmente alla colposa condotta del medico nell’esecuzione della prestazione terapeutica, inesattamente adempiuta, e non alla omessa informazione in sé, occorrendo altresì provare – e tale onere compete al danneggiato – che l’adempimento da parte del medico dei suoi doveri informativi avrebbe con certezza prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico dal quale lo stato patologico è poi derivato» (Cass. 11950/2013).
In buona sostanza, il paziente ha diritto di conoscere dettagliatamente le conseguenze dell'intervento medico, per affrontarle con consapevolezza; il suddetto diritto trova un referente nella Carta Costituzionale ove si prevede «il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive» (Cass. n. 21748/2007; Cass. 23676/2008, in tema di trasfusioni salvavita eseguite al testimone di Geova contro la sua volontà).

Onere della prova sull’omessa informazione

Secondo i giudici di merito, la danneggiata avrebbe dovuto dimostrare che, se adeguatamente informata, avrebbe rifiutato l’intervento. Ebbene, nel caso in esame, non grava sulla paziente l'onere di dimostrare che, se fosse stata correttamente edotta sulla situazione clinica, non avrebbe acconsentito all'intervento. Per la giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla violazione dell’obbligo informativo, a fronte dell'allegazione, da parte del paziente, dell'inadempimento a tale obbligo, è il medico gravato dell'onere della prova di aver adempiuto all’obbligazione (Cass. 2847/2010; Cass. 20984/2012, Cass. 19220/2013). Pertanto, è errato il convincimento per cui se il paziente allega la violazione dell'obbligo di informazione da parte del medico, ha l'onere di provare che, ove l'informazione fosse stata fornita, avrebbe evitato un certo intervento. Si tratta di un onere di allegazione che non è in riferibile al caso in cui il danneggiato lamenti la violazione del proprio diritto di autodeterminarsi. Infatti, il diritto all'autodeterminazione diverge da quello alla salute; pertanto, vanno trattate diversamente le fattispecie in cui il danneggiato si dolga della lesione del primo e/o la lesione del secondo (Cass. 2854/2015). La responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo di acquisire il consenso informato discende dal solo fatto della sua condotta omissiva. Infatti, rileva soltanto che, a causa del deficit di informazione, il paziente non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni (Cass. 24220/2015).

-Riassumendo e semplificando, può dirsi che, ai fini risarcitori, in caso di violazione dell’obbligo informativo da parte del medico:
l’onere della prova che, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti, grava sul paziente che lamenti un danno alla salute;
l’onere della prova di aver ottenuto il consenso grava sul medico nel caso in cui il paziente lamenti la lesione del diritto all’autodeterminazione.
In conclusione, sul sanitario incombe l'obbligo di informare il paziente circa:
• i possibili accertamenti diagnostici utili o necessari in una determinata situazione;
• i rischi ed i vantaggi a ciascuno connessi.
Spetta al medico fornire la prova di avere adempiuto a tale obbligo, restando a suo carico, in caso contrario, la responsabilità per lesione del diritto del paziente all'autodeterminazione anche in merito alle scelte diagnostiche (Cass. 24220/2015).


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